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America’s Cup: alla ricerca della Luna Nuova, il racconto finale della 37th AC

Barcellona– C’era una magnifica luna piena nella notte di giovedì 17 ottobre su Barcellona. L’aria resa tersa dal Poniente della giornata la rendeva ancor più limpida. Addirittura rilucente, sempre più alta nel cielo. E questo si immaginavano, di ammirarla in tutto il suo splendore, le migliaia di tifosi italiani arrivati nella metropoli catalana per sostenere un’altra Luna, quella Rossa, che a inizio America’s Cup ci aveva riempito un po’ tutti di speranze e che in quei giorni avrebbe dovuto lottare contro Taihoro per la conquista della Coppa.
Ma la luna, è noto, ha anche una sua faccia nascosta. Melanconica, invisibile. Magari subdola ma comunque presente. Capace di condizionare, tra maree e umori, chi sulla Terra opera e agisce. Al posto della Luna Rossa, infatti, c’era un’altra barca, decisamente più bruttina da vedere ma con a bordo dei velisti scaltri e freddi, proprio come la loro isola, Britannia, che la Red Moon aveva battuto per 7 a 4 pochi giorni prima nella finale di Louis Vuitton Cup.

La luna piena del 17 ottobre sopra Barcellona. Foto Tognozzi/Bottacini

Così si sente in questi giorni il popolo dei lunatici. Così ci sentiamo noi appassionati italiani che per quasi due mesi abbiamo seguito la Louis Vuitton 37th America’s Cup Barcelona. Melanconici, appunto. Tra rassegnazione e rimpianto. Come color che son sospesi tra il sogno appena intravisto e la cronaca che invece ti sbatte in faccia la realtà. Come se quella Coppa, così saldamente ancora una volta in mano ai Kiwi, fosse stata a portata di conquista. Certo difficile, complicatissima. Quasi eterea, ma mai come questa volta tremendamente possibile grazie a una barca, il monofoil AC75 Luna Rossa, che andava proprio veloce e che, dicono le voci del Port Vell, era l’unica che Emirates Team New Zealand davvero temeva.

Luna Rossa nel match del 22 agosto vinto contro i francesi

Non è andata così. Noi restiamo nel limbo e a vincere è stato il team più preparato a farlo, Emirates Team New Zealand, di assoluta qualità velica e creativa. Forse addirittura il migliore che si sia mai visto nella storia recente dell’America’s Cup. Grant Dalton, Peter Burling, Nathan Outteridge, Andy Maloney, Blair Tuke, Dan Bernasconi e tutti i kiwi meritano l’applauso generale, hats off, giù i cappelli ha detto Sir Ben Ainslie, il leader di INEOS Britannia. Ed è in questo articolo che cercheremo di capire perché è andata proprio così, riportando cosa abbiamo visto nei due mesi di permanenza a Barcellona.
Con un’anticipazione, però, Luna Rossa Prada Pirelli ha già allattato al suo seno la progenie migliore per la vela italiana, i suoi giovani. E sarà proprio questo, il rinnovamento e la fiducia nei nuovi talenti, il progetto che può rapidamente portare di nuovo la vela italiana a giocarsi la possibilità di conquistare finalmente il più ambito e longevo Trofeo velico (e non solo) al mondo. Una Luna nuova. Bella. Fresca e sorridente, capace di rischiare come i suoi ragazzi e ragazze che hanno vinto la Youth e la Women’s America’s Cup. Ne riparleremo più avanti.

Da sinistra: Gianluigi Ugolini, Federico Colaninno, Marco Gradoni e Rocco Falcone, vincitori della Unicredit Youth America’s Cup

La Coppa a Barcellona

Barcellona accoglie l’America’s Cup il 22 agosto, per l’inizio delle Regate Preliminari. Lo fa un po’ distratta dal caldo mediterraneo e dalla sua grandezza. La metropoli catalana, infatti, mostra subito come le sue dimensioni, culturali, economiche, sportive, siano troppo imponenti per far emergere al meglio il Trofeo sportivo più antico al mondo. Sotto la statua di Colombo, alla fine delle Ramblas, il turismo internazionale si muove incessante. Tra la movida, Gaudi, Mirò, Picasso, il Barri Gotic, il Born e la Catedral del Mar ce n’è per tutti. La Coppa si nota e si respira agli AC Village, alla Barceloneta, all’Hotel Vela e al Port Vell. Pochissimo rambla arriba. Per niente nell’elegante Paseig de Gracia o nei taxi che vanno e vengono dall’aeroporto. Manca quell’unicità che si respirava a Valencia 2007 o ad Auckland. Semplicemente, Barcellona è troppo grande per centrarsi in un solo evento e le basi, vicine in linea d’aria, sono invece assai lontane a piedi. Per arrivare da quella di Luna Rossa a quella dei francesi, dai lati opposti del porto, ci vuole un’oretta buona.

La vista sul Port Vell dalla collina del Montjuic con la localizzazione delle basi

I catalani, mercanti da sempre, ci provano e almeno alla Barceloneta l’ambiente è godibile, anche se i prezzi sono impazziti, ma tra un chiringuito, un bagno a mare e una regata sul maxi schermo la gente si diverte. La comunità dell’America’s Cup, ovvero le quasi mille persone che operano nei sei team presenti, si muove tra biciclette, motorini. Si riconoscono dalle divise, impeccabili e alla moda quelle di Luna Rossa. Gli appassionati inseguono i protagonisti e i selfie abbondano. L’organizzazione dell’evento gestito dai kiwi non brilla, come invece farà la loro eccellente organizzazione sportiva.

Promosse, e non era scontato, le condizioni meteo. Alla fine si è regatato quasi sempre, pochissime le giornate perse. Il campo, salve le giornate di Garbì da SW in cui la destra prevaleva, era sempre aperto, così come le attese e difficili condizioni d’onda confusa hanno reso sempre complicate le regate.

Nel pomeriggio di oggi arriva da ETNZ un comunicato dove si stimano 2,56 milioni di presenze a Barcellona legate alla Coppa nel periodo 21 agosto – 19 ottobre, con ben 243 superyacht arrivati nei porti catalani. Il comunicato parla della volontà di far crescere ancora l’evento e contiene anche una frase sibillina di Grant Dalton che di fatto taglia le gambe a una candidatura di Barcellona: “Sarebbe difficile espandere il numero dei team basandoci sugli spazi disponibili per infrastrutture a Barcellona”.

 

I Round Robin

Luna Rossa Prada Pirelli inizia alla grande, o meglio lo fa da regata due del primo giorno contro i francesi, visto che nella prima contro ETNZ si ferma subito per un’avaria, poca cosa, un problema ai sistemi elettrici. Nessuno ci fa caso, ma sarà un indizio di ciò che, alla voce affidabilità, troppo spesso accadrà. Luna Rossa, giorno dopo giorno, inizia a vincere una regata dopo l’altra. Gli inglesi e Alinghi Red Bull Racing sembrano arrancare. Americani e Kiwi fanno il loro. I francesi si fanno vedere.

Francesco Bruni, che in Mixed Zone sarà a giorni alterni (con Spithill) la cartina di tornasole dell’umore lunarossiano, avverte subito tutti. “Attenzione, perché qui ogni giorno cambia qualcosa e in America’s Cup anche chi sembra non camminare poi sviluppa la barca e può migliorare giorno dopo giorno. Queste regate non significano nulla”, dice il palermitano. Asciutto, tonico e fresco, Bruni rassicura gli appassionati. Con il proseguire delle regate, e l’inizio della Louis Vuitton Cup il 29 di agosto, sarà proprio lui a rendere esplicite le dinamiche interne al team italiano. Molto più di Jimmy Spithill, che si rifugia spesso nell’inglese e nella sua ironia anglosassone.

Luna Rossa contro Patriot

Si va avanti e Luna Rossa continua a vincere, concludendo imbattuta il primo Round Robin. Nella prima regata del secondo giro, Luna Rossa batte addirittura il defender in un’epica sfida tra tuoni e fulmini, nel senso letterale del termine. Dopo aver sfiorato l’eliminazione, INEOS Britannia inizia a migliorare, così Alinghi Red Bull Racing mentre American Magic resta in mezzo al guado alternando momenti eccelsi a troppi errori non procurati. Alla fine dei Round Robin arrivano le prime sconfitte per Luna Rossa. Sempre Checco Bruni si carica sulle spalle il team in Mixed Zone e fa da parafulmine. Lo skipper Max Sirena sceglie un profilo basso e resta rinserrato nel fortino lunarossiano alla Nova Bocana.

I Round Robin si concludono con i britannici primi. Ben Ainslie, dopo aver messo in giro la voce che avrebbe scelto Luna Rossa per la semifinale, prende l’ovvia e più sicura decisione di affrontare Alinghi Red Bull Racing. Conseguentemente Luna Rossa se la vede con Patriot.

 

Le semifinali

Luna Rossa sembra un rullo compressore, va rapidamente sul 4-0 contro gli americani, che ci provano e hanno qualche chance in quasi tutti i match. Luna Rossa, però, è più veloce, manovra meglio. Le basta pareggiare una partenza per vincere la regata. Dall’altra parte Britannia gioca al gatto con il topo con gli inesperti svizzeri. Entrambe le semifinali vanno sul 4-0.
E poi cambia il vento. Luna Rossa inizia a perdere dei match, prima uno per una scelta estrema di prendersi un interno difficilissimo alla boa di poppa che si concluderà con una caduta dai foil. Poi un secondo per un’errata valutazione dell’approccio in boa e infine un terzo per la rottura del carrello della randa. Da 4-0 si va 4-3. Luna Rossa va di più ma inizia a manifestare delle criticità nel fattore umano e nell’affidabilità.

Francesco Bruni appare in Mixed Zone sempre più consunto. Appare evidente che il palermitano stia portando sulle sue spalle un peso enorme. Quello della pressione di un evento che, man mano che si va avanti, tocca livelli inimmaginabili per qualsiasi altra regata velica. Bruni ricorda quasi un Cristo che va, lottando con tutte le sue forze umane, fisiche e spirituali, verso un destino ancora non ben definito. E, a breve, questo sarà splendido, con una delle più belle regate di Luna Rossa, quella del 5-3 definitivo, no chance per Patriot, che consegna a Luna Rossa la finale di Louis Vuitton Cup contro Britannia, che sì concede un paio di punti ad Alinghi Red Bull Racing ma finisce comunque con un netto 5-2 finale.

Bruni festeggia la vittoria contro American Magic in semifinale di Louis Vuitton Cup

La finale di Louis Vuitton Cup

INEOS Britannia è cresciuta. Adesso è radicalmente migliore rispetto a quella che era un mese prima, alle regate preliminari. Luna Rossa appare continua in termini di velocità, ma mostra qualche crepa all’alzarsi del livello di pressione. Come già nei Round Robin, anche in semifinale gli italiani iniziano come meglio non si può, con una regata perfetta che vale l’1-0. Ainslie pareggia subito, dopo una regata assai equilibrata. La sfida prosegue sul filo del pareggio. Nel match del 2-2 addirittura Luna Rossa tocca la folle velocità di 55,2 nodi in una puggiata.
Per tre volte Britannia va avanti, due volte per rotture italiane (prima una stecca della randa e poi l’ingavonata che manda a pezzi il fairing), e per tre volte Luna Rossa pareggia, compresa la celebre regata con il tape a tenere la coperta. Si va 4-4. Ainslie se la prende un po’ con la stampa italiana che gli chiede perché non riesce a staccare i rivali. Anche Sir Ben è un libro aperto. Arriva in Mixed zone contorto quando perde, a petto in fuori quando vince, ma la sua storia sportiva insegna che più si va avanti e più il fuoriclasse di Lymington diventa un killer.

Ben Ainslie

Arriva la giornata decisiva, la pressione è ormai a livelli di tsunami. A quel momento in cui non c’è più il piano B. Dove o si vince o si esce sconfitti. Arriva un altro errore, una chiamata meteo sbagliata che porta Luna Rossa ad attendere invano un vento al limite massimo quando in realtà race 9 si disputa con 16-18 nodi. Fiocco sbagliato, ma non solo. E’ qui che Luna Rossa finisce per impantanarsi nella prima di tre partenze senza aggressività, lasciando a Britannia la gestione del campo aperto. Spithill e Bruni appaiono scarichi, forse addirittura prigionieri di schemi che confidano nell’eccellente velocità del mezzo ma che alla fine non considerano l’elemento avversario. Il quattro volte oro olimpico Ben Ainslie, a volte prigioniero della sua aggressività ma certamente spietato quando si tratta di esserlo, e il suo alter ego Dylan Fletcher, anche lui Oro olimpico nei 49er, l’uomo dal volto monoespressivo ma anche uno dei pochi capace di dir di no al suo skipper e farsi ascoltare. Britannia vince entrambe le regate del 2 ottobre e va ai match point.

Luna Rossa appare scarica. Max Sirena chiama a raccolta con un discorso al team condiviso sui social, ma l’inerzia è ormai tutta da parte britannica. La pressione, per la terza volta, diventa una ripetizione. Nel momento decisivo la velocissima Luna Rossa soffre. La regata senza un domani non ha storia. Stesso schema, stessa partenza poco incisiva. Britannia va a vincere la serie 7-4 e diventa il primo sfidante inglese ad arrivare all’America’s Cup Match dal 1964, quando ci riuscì Sovereign, che poi perse 3-1 da Constellation di Bob Bavier a Newport. Il popolo di Luna Rossa s’intristisce.

Francesco Bruni scuro in volto a regata finita. 7-4 per Britannia

Il Match

Taihoro, ovvero in lingua Maori “l’oceano che incontra la terra in armonia”, è stata superlativa. Subito 4-0 senza se e senza ma. Poi una giornata no, contraddistinta da mare formato e poco vento, che porta gli inglesi sul 4-2. Infine l’allungo finale, senza nessuna pietà per un Ben Ainslie che pure le prova tutte e che, con la sua Britannia, probabilmente non poteva proprio fare di più. La regata finale, quella del 7-2 di sabato 19 ottobre, è una summa di qualità. Volo basso, stabile e perfetto, manovre impeccabili, virate e strambate quasi con il rollio, barca sbandata sopravvento fino 7-8° per il massimo sbraccio dei foil. Anche dopo una partenza vinta da Sir Ben, in due incroci Taihoro è già avanti. Senza storia, se non quella di un popolo di cinque milioni di abitanti che riesce a tener testa a nazioni ben più potenti.

Applausi, giù i cappelli. Grant Dalton si commuove mentre Peter James Bond Burling, mister freddezza, sembra appena rientrato dalla regata sociale del sabato. “In questo team si lavora benissimo e c’è un’ottima atmosfera, tutti abbiamo lavorato per tre anni per lo stesso obiettivo, per questa giornata”, commenta Nathan Outteridge, il secondo timoniere, australiano con moglie kiwi.

Sono le 15:20 del 19 ottobre. Tailor ETNZ taglia la linea d’arrivo e vince la 37th AC. October 19, 2024. Louis Vuitton 37th America’s Cup, Race Day 6, Race 9. EMIRATES TEAM NEW ZEALAND, winners of the America’s Cup.

L’America’s Cup

Nulla è come la Coppa e anche a Barcellona si respirava l’assoluta qualità dei team coinvolti. I francesi di Orient Express avevano pochi giorni di navigazione ma hanno lasciato una buona sensazione e potranno diventare tra i protagonisti nei prossimi anni, se troveranno quella continuità che la Francia ha raramente avuto in Coppa.
Alinghi Red Bull Racing ha mezzi notevoli ed esperienza, ma appare destinato a selezionare un nuovo gruppo di velisti e non potrà farlo che dalle classi olimpiche, le uniche paragonabili per qualità e pressione all’ambiente della Coppa.
NYYC American Magic ha alternato cose ottime a errori troppo frequenti. Ha ottenuto il minimo sindacale, la semifinale, ma è stata superata da una Luna Rossa alla fine più veloce. Di INEOS Britannia abbiamo scritto, da brutto anatroccolo si è trasformato in cigno con il passare dei giorni ma alla fine nulla ha potuto contro un Taihoro superlativo. Detto di Luna Rossa, resta Emirates Team New Zealand. Solo applausi. Quinta vittoria, terza consecutiva. Sempre più New Zealand Cup.

Peter Burling e Nathan Outteridge con la Coppa alla cerimonia di premiazione

L’appunto maggiore a ETNZ, oltre alla gestione rivedibile dell’evento a terra, riguarda i presunti eccessivi benefici che si sarebbe riservata come defender, anche per il ruolo poco attivo del Challenger of record INEOS Britannia. La storia stessa della Coppa, in verità, non fa che confermare che chi la detiene si prende i suoi vantaggi. E’ sempre stato così ed è proprio in questa unicità che risiede gran parte del suo fascino. Sull’aspetto del software del prepartenza, però, ci sono stati commenti dubbiosi sia da parte di Luna Rossa sia da parte britannica. I team hanno riportato di problemi di gestione, soprattutto per il time-distance. Nella Coppa del 2021 ad Auckland ogni team aveva sviluppato il suo software. In questa era una parte one design uguale per tutti, a cui si aggiunge evidentemente l’utilizzo dell’IA, quell’intelligenza artificiale ormai parte, con specialisti (in Luna Rossa è Marco Benini) ad hoc, di tutti i team.

Gli AC75 sono arrivati a livelli impensabili. VMG in poppa di 44-45 nodi, angoli da spinnaker affrontati con il vento apparente che ti porta dritto dritto all’arrivo. Cyrcling in partenza, virate e strambate in sequenza. Uno spettacolo se la regata è equilibrata. I Boundary sono evidentemente troppo angusti e andranno allargati, magari tornando a una sorta di rombo stretto invece dell’attuale rettangolo. I Cyclor per produrre energia hanno mostrato quel lato di sofferenza umana indispensabile per l’empatia con gli spettatori. Si sta discutendo se toglierli per la prossima Coppa, utilizzando delle batterie. Questione da valutare bene.

Lo spettacolo delle regate di flotta degli AC40, della Youth e della Women’s, ha fatto ipotizzare l’uso del formato di flotta anche per gli AC75, almeno negli eventi preliminari e in parte dei Round Robin iniziali. Rotta che sarà probabilmente percorsa, vista la qualità di quelle regate. Tutto ciò che piace delle regate one design, solo a quattro volte la velocità.

Dove andrà la Coppa?

Notizia di oggi. Il Governo neozelandese ha chiesto a Emirates Team New Zealand quali condizioni vorrebbe per riportare la difesa della 38th America’s Cup ad Auckland. Grant Dalton aveva chiari qualche settimana fa che solo “nuove condizioni da parte governativa” avrebbero potuto riportare la difesa a casa. La traduzione appare semplice: quanti fondi è disposta a spendere la Nuova Zelanda per supportare ETNZ?
Appare verosimile che la Coppa resti ancora nell’Emisfero Boreale (quindi deve essere disputata, da Deed of Gift, tra il 1 maggio e il 1 novembre) nel 2026 o 2027.

Barcellona sta valutando se ripresentare la sua candidatura. Per la Coppa 37 sono stati spesi 70 milioni di euro, suddivisi tra Città, Generalitat, Governo di Madrid, Autorità portuaria e cordata d’imprenditori catalani. La città, forte delle infrastrutture già create, vorrebbe trattare una nuova cifra con Dalton. Ma è Dalton stesso, nella serata di martedì, che spegne le possibilità catalane: “A Barcellona non ci sono altri spazi disponibili per nuove basi e l’evento di nostra proprietà  dovrà esplorare nuovi territori”.
Si sta inserendo quindi Valencia. La città del Levante ha una logistica perfetta, il suo Port America’s Cup usato nel 2004-2007 con basi già riutilizzabili, una dimensione ideale e un clima splendido. A Valencia la Coppa sarebbe l’evento perfetto, per coinvolgimento della città e atmosfera. L’attuale governo della città sta spingendo forte per ospitare di nuovo la Coppa, con la nuova alcaldesa María José Català che ha dichiarato apertamente di “voler riportare l’America’s a casa”, lì dove si celebrò nel 2007 e 2010.

L’alternativa è la saudita Jeddah, forte di un’offerta monstre, cento milioni per la Coppa 37 che pare possano aumentare ancora per la 38, ma ha diversi contro. Opportunità geopolitiche e sociali, clima (nel periodo maggio-ottobre le temperature sarebbero altissime), contrarietà di alcuni team. Più probabile che vi si svolga un evento preliminare.

Arriveranno nuovi team. Lo svedese Artemis è spesso citato, così come si starebbe lavorando a un team spagnolo di sostegno a una conferma della Coppa in Spagna. ETNZ e INEOS Britannia stanno già lavorando al nuovo Protocollo, tenendo presenti anche le osservazioni condivise con le sei proprietà attuali nella riunione di lunedì 14 ottobre.

 

E alla fine… il fattore umano

La Coppa è stata decisa alla fine dalle scelte umane, ed è un bene che sia così. Luna Rossa era veloce. Temuta dagli stessi kiwi. Una barca che il design team coordinato da Horacio Carabelli e Juan Garay ha reso eccellente in bolina e stabile in poppa. Se Luna Rossa vince o anche pareggia la partenza, non c’è più storia. L’AC75 italiano riesce anche a battere Taihoro nel Round Robin. Vince praticamente sempre.
Se, invece, parte dietro difficilmente recupera. Il campo di regata, ormai troppo stretto per le velocità degli AC75 2.0, non aiuta. “Chi è davanti”, ripetono praticamente all’unisono Bruni, Spithill, Ainslie e Fletcher, “manda facilmente l’avversario in controfase con il vento e diventa difficilissimo recuperare”. E qui subentra il fattore umano e aleggia la carta Ruggero Tita, rimasta inutilizzata da Max Sirena. In molti si chiedono se la freschezza del due volte oro olimpico italiano, l’abitudine a performare al massimo livello, a vincere quando conta davvero, insomma, avrebbe reso più cattiva e intraprendente Luna Rossa. Non sapremo mai la risposta, ma la sensazione è che una Luna Rossa più aggressiva, al netto dei problemi di affidabilità riscontrati, avrebbe potuto battere la nave da battaglia britannica. Veloce sì, ma non superlativa come poi dimostrato nell’AC Match.

La conferenza stampa di inizio finale Louis Vuitton Cup. A sinistra Ainslie e Fletcher, a destra Spithill e Bruni

Ed è qui, nelle scelte iniziali, che forse può essere identificato quel rammarico che accomuna l’ambiente lunarossiano. Jimmy Spithill e Francesco Bruni fanno 96 anni in due (45 l’australiano e 51 il palermitano). Esperienza da vendere, gran mano. Questi AC75, però, sembrano fatti apposta per i giovani velisti under 40, meglio se nati o arrivati presto sui foil. La capacità di decidere in una frazione di secondo, da quanto si è visto, ha fatto a Barcellona la differenza tra la vittoria e la sconfitta. Vale per tutti i team. Con le barche sempre più simili, anche se non del tutto, in prestazioni sono proprio le scelte umane ad aver fatto la differenza. Quegli attimi, e ve ne sono stati molti, in cui l’errore non procurato o la capacità di portare al meglio i monofoil, come faranno superbamente i kiwi nell’AC Match, hanno determinato l’esito di una regata.

Luna Rossa sembra essere rimasta invischiata nelle sue dinamiche. Nei suoi schemi da barca veloce (qual’è) ma è mancata quella cazzimma da momento decisivo che si è vista in Marco Gradoni e Gigi Ugolini alla Youth e in Giulia Conti e Margherita Porro nella Women’s. Altro livello, intendiamoci. Altra barca, sicuramente. Un One Design di 40 piedi con l’autopilota per il volo da una parte e delle stupefacenti macchine volanti da regata dall’altro, che competono per il massimo Trofeo possibile. Ed è qui che ritorna quella sensazione di aver avuto, e lo stesso team italiano ne ha parlato, un’occasione unica che non si è riusciti a sfruttare.

Ruggero Tita

Proprio nel fattore umano, però, Luna Rossa Prada Pirelli può avere la risposta. Lo stesso Grant Dalton lo ha detto: “Luna Rossa ha cresciuto una generazione di giovani velisti che nessun altro ha, neanche noi kiwi, e che potrà essere protagonista del futuro dell’America’s Cup”. Tita, Gradoni (che per la “Gradoni Rule” non era eleggibile per l’AC75 essendo stato nominato timoniere del 40′ alla Youth), Ugolini, Bissaro, Colaninno, Falcone, Salvà sono solo alcuni degli alfieri della New Generation coltivata da Luna Rossa. Da loro, come del resto già annunciato dallo stesso Patrizio Bertelli, Luna Rossa ripartirà. E sarà Max Sirena a dover fare tali scelte, magari coadiuvato da una sorta di direttore tecnico di grande esperienza. Luna Rossa Prada Pirelli ha bisogno di un rinnovamento, di tornare a quel sacro fuoco delle origini, al di là del suo essere di moda. Esteticamente anche a Barcellona Luna Rossa era la più bella. Si tratta, però, di competere in un evento, l’America’s Cup, che è il massimo ipotizzabile nella vela, nella tecnologia (“siamo a un livello ormai più alto della Formula 1”, ci ha detto l’analista strutturale Stefano Beltrando), negli investimenti, nella gestione manageriale di 140 persone e di oltre centoventi milioni di euro di budget. Lassù dove la pressione è impetuosa. Travolgente, se non si ha la freddezza di un Peter Burling o il killer istinct di un Ainslie.

Luna Rossa Prada Pirelli, se saprà rinnovarsi con la sua meglio gioventù, ha il futuro dalla sua. Questa campagna, diventata malinconica con il trascorrere delle settimane, potrebbe presto ricaricarsi di una nuova energia. Emirates Team New Zealand, dall’alto della sua qualità eccelsa, lo sa. Attendiamo, quindi, le prossime novità del Protocollo che verrà, perché quella Luna che il 17 ottobre illuminava Barcellona potrebbe diventare non solo piena, ma anche proprio tutta Rossa.

 

Foto Martina Orsini

Fare Vela ha coperto tutta la 37th America’s Cup da Barcellona. In questa sezione trovate la cronaca.

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Qui l’analisi finale con il nostro opinionista Luca Devoti:

 

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