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Enrico Chieffi: a proposito di SLAM, America’s Cup e la vela che sarà (video e intervista)

Roma– Enrico Chieffi, Francesco Bruni e Ruggero Tita, tre generazioni di campioni della vela italiana che si sono ritrovati a bordo di un Persico 69F durante l’evento a Sferracavallo della scorsa settimana. Un vincitore di Prada Cup, un Oro olimpico e un velista/manager di successo fanno molto più che tre uomini e una barca.

Enrico CHieffi al timone del Persico 69F con Francesco bruni e Ruggero Tita. Foto Martina Orsini

Il nuovo CEO di SLAM è impegnato in una campagna di riposizionamento dello storico marchio italiano dell’abbigliamento tecnico ed è anche persona dalla lunga esperienza sportiva prima e manageriale poi.
Dopo due titoli mondiali di classi olimpiche, due Olimpiadi in due classi diverse (470 e Star), l’America’s Cup, Chieffi scelse nel 1997 di “farsi una carriera” e i 23 anni in Nautor’s Swan più l’attuale esperienza come amministratore delegato di SLAM gli consentono di avere una visione completa del movimento velico internazionale.

Con lui parliamo, quindi, di vari aspetti del nostro mondo, cominciando proprio dall’esperienza con Bruni e Tita sui Persico 69F.

Fare Vela Buongiorno Enrico, com’è andata la sua prima volta in foiling con due “giovani speranze” come Francesco Bruni e Ruggero Tita?
Enrico Chieffi Bellissima esperienza, da tutti i punti di vista. Sferracavallo una splendida location, sia naturalisticamentre sia per andare in barca perché a Capo Gallo abbiamo sempre trovato vento a sufficienza per fare delle bellissime regate. E poi, in effetti, è stata la mia prima esperinza su una barca volante… con due “giovani promesse che si faranno”… ho visto che c’è del talento… scherzo chiaramente. Con due grandissimi campioni, è stato molto bello andare in barca insieme. Il problema è che nessuno sapeva quali scotte cazzare e quali manovre fare, dato che tutti e tre siamo timonieri… Però a parte questo ce la siamo cavata ed è stato davvero interessante.

FV SLAM come era presente nell’evento?
EC Con SLAM abbiamo sponsorizzato l’evento e in Circolo Velico Sferracavallo. Devo dire che lo abbiamo fatto proprio perché Francesco Bruni si è prodigato in prima persona nell’organizzazione di questo evento. Me ne ha parlato e ha detto, “Enrico vedrai che sarà un bell’evento” e per stima e fiducia nei suoi confronti abbiamo fatto questa operazione fuori dai nostri canoni. Devo dire che sono molto contento e che questa operazione segue altre due attività che abbiamo fatto nel circuito 69F, che sono la sponsorizzazione del team Young Azzurra, che ha fatto secondo nel circuito giovanile, e quello delle ragazze di Equal Sailing. Fa parte, insomma, di una strategia di essere presenti in questa nuova vela volante foiling che, di fatto, sta riscuotendo molto successo.

FV Le ragazze sono Giulia Conti e Francesca Clapcich…
EC Esatto.

FV A proposito di questa nuova vela, è proprio di ieri l’annuncio del nuovo Protocollo della 37th America’s Cup. Vi sarà la nuova classe AC40 e due nuovi eventi di contorno la Youth AC e la Women’s Cup. Crede che ci possano essere coinvolgimenti di SLAM anche in questo mondo, che è al vertice della vela professionale?
EC Il mio sogno come azienda sarebbe quello di sponsorizzare i team italiani. Chiaramente il nostro team italiano è Prada, per cui immagino non ci sia spazio per un’azienda d’abbigliamento come noi. Mai dire mai, ci piacerebbe anche se chiaramente stiamo parlando di dimensioni e impegni molto grandi visto che siamo un’azienda relativamente piccola. Comunque noi intendiamo rivolgerci al mondo della vela anche professionistica. Non solo quella pro, ma anche quella, e questa Coppa America sicuramente è un bellissimo trampolino e opportunità. Vedremo, al momento è prematuro immaginarlo però dal punto di vista strategico sarebbe un sogno.

FV Ha avuto modo di dare un’occhiata ai dettagli del Protocollo, cosa ne pensa?
EC Ho visto a grandi linee la parte più importante, che sono cose che più o meno ci aspettavamo e di cui si parlava da tempo. La creazione di questa nuova classe di 40 piedi che porterà l’evento fino al punto in cui poi si regaterà con i 75 piedi.
Il fatto che ancora non abbiano dichiarato la sede, capisco che da un punto di vista personale sia un fattore di successo. E’ molto importante, perché devono di fatto capitalizzare quanto più possibile. Da un punto di vista sportivo, però, devo dire che è una caduta di stile che non mi aspettavo.
Io ricordo, a questo proposito, gli americani che hanno mantenuto la Coppa per 132 anni e i veri sportivi erano gli australiani e i neozelandesi, che sono stati capaci di vincerla e perderla, ma con uno stile sportivo che io, da sportivo, ho sempre apprezzato.
Mi sembra che i giochi siano cambiati e vedo adesso il defender della Nuova Zelanda che in questo momento cerca di capitalizzare il più possibile, ma non condivisibile direi.

FV Domanda cattiva… La Nuova Zelanda o Grant Dalton?
EC Beh, è molto difficile dare dei giudizi, perché la verita non la conosce nessuno. Per cui probabilmente Grant Dalton, ma Dalton rappresenta un team che rappresdenta una sfida che non è nazionale, ma è la sfida di una squadra. Per cui, secondo me, le logiche sociali ed economiche del team vanno rispettate. Come sappiamo ci sono strategie milionarie dietro queste imprese e uomini come Grant Dalton che hanno dedicato la vita a questo, a un certo punto… da un punto di vista umano bisogna capire che Dalton voglia anche capitalizzare.
Da un punto di vista prettamente sportivo, invece, ci piacerebbe una Coppa davvero per tutti, ma abbiamo imparato che la Coppa America NON è per tutti ed è un gioco per pochi. La Nuova Zelanda, di fatto, è un po’ una mosca bianca in questo gioco dato che è comunque un paese che ha meno risorse in genere degli altri sfidanti ma ha semopre tirato fuori quella creatività e professionalità che gli ha permesso di avere risultati incredibili.

FV In effetti spesso il pubblico dimentica che la Coppa America non è un evento sportivo, ma è una sfida sportiva che un team/yacht club fa al defender e come tale va considerata.
A proposito di sfide, lei ne ha appena iniziata una. Da circa tre mesi lei è amministratore delegato di SLAM dopo una carriera intera da sportivo prima e poi da manager in Swan. Come sta andando?

EC Sta andando bene. Sono molto, molto contento. Prima di tutto mi sto divertendo moltissimo e, dato che tutti noi passiamo l’ottanta per cento del nostro tempo lavorando, riuscire a divertirsi lavorando è una ricchezza incredibile.
E’ poi stimolante, perché vedo giorno per giorno i risultati che stiamo ottenendo, sia come riposizionamento del marchio sia come risultati economici dell’azienda. Si tratta di veder rinascere un marchio italiano d’eccellenza, che è un po’ il nostro sogno, in modo che ritorni a essere un attore di prima grandezza all’interno del mondo della vela internazionale.

Chieffi con Ruggi Tita. Foto Orsini

FV Che strategie state usando per il riposizionamento del marchio?
EC Non stiamo inventando nulla. Vogliamo come SLAM tornare a essere quello che SLAM è sempre stata negli anni passati prima di questo periodo. Un’azienda d’alta qualità per velisti, all’interno del mondo della vela, e tornare a avere un’identità molto forte. Partecipazioni come quella a Sferracavallo, a contatto con campioni come Tita o come Bruni, o come le ragazze. Essere attori nella vela nazionale e internazionale. Questa è la nostra strategia, semplice e diretta.

FV In tutto questo quanto ritiene che le stia dando l’esperienza pluriennale ad alto livello come manager in Nautor’s Swan?
EC Tantissimo. E’ stata, posso dire, la seconda esperienza più bella della mia vita. La prima è stata quella da sportivo. Sono stati 23 anni in Nautor’s Swan splendidi, in cui ho avuto un’opportunità incredibile, di fatto da parte di Leonardo Ferragamo. Abbiamo fatto veramente tanta strada insieme e sono molto orgoglioso di essere rimasto legato al gruppo come senior advisor anche dopo il mio nuovo ruolo in SLAM. Con Leonardo Ferragamo e Giovanni Pomati, l’attuale AD Nautor, faccio parte di un gruppo strategico e posso dire che è stata una scuola bellissima e sono fiero di averla fatta.

FV Lei fa parte di una generazione di velisti degli Anni Ottanta e Novanta che ha poi saputo costruire molto. Penso oltre a lei, ai Montefusco, a Semeraro, a molti altri. Ricorda un po’ una storia sportiva e imprenditoriale che ha avuto grandi nomi come Lowell North o Paul Elvstrom. Ritiene che avevate qualcosa in più rispetto ai velisti attuali? Vede delle differenze?
EC Vedo delle differenze ma non per questo penso che anche i giovani attuali non possano fare grandi cose quando smetteranno di andare in barca. Sono abbastanza certo che anche questa generazione produrrà manager e imprenditori di successo. Ciò nonostante vedo una granbde differenza, ma che è una differenza generazionale che va oltre la vela. Cioè noi eravamo, primo, più abituati a fare le cose da soli. Oggi hai l’allenatore, hai il meteorologo. Hai lo shore team, hai tutta una serie di cose che noi facevamo in proprio.
Eravamo più eclettici, probabilmente meno tecnici. Approfondivamo forse meno, ma sapevamo occuparci di più cose. Secondo, probabilmente eravamo più abituati ad arrangiarci. Ricordo, per esempio, viaggi in macchina estenuanti, una volta finita la regata, di dodici-quindici ore con la barca al seguito, magari con il carrello doppio e la macchina piena perché così si spendeva meno. Oggi vedo alcuni di questi ragazzi che viaggiano in aereo, con il coach che magari gli porta la barca.
Anche il nostro sport si è evoluto in una professionalità superiore, che ha i suoi pregi e i suoi difetti. Ecco, sono molto contento di aver vissuto la mia generazione perché ci siamo divertiti davvero moltissimo. Vedo però questi ragazzi di oggi che sono veramente in gamba.

FV Nel 1996, dopo le Olimpiadi di Savannah dove arrivò da campione del mondo Star, fece scalpore la sua scelta di lasciare la vela per entrare in Swan. Alcuni pensarono, ma come, Enrico Chieffi può fare il professionista sulle barche grandi e nuove campagne di America’s Cup e invece fa altro. Lei come ripensa a quella scelta?
EC Beh, credo di essere alla fine un più bravo tattico che non un timoniere. Ognuno di noi ha punti di forza e punti di debolezza. Penso che una mia caratteristica sia sempre stata quella di saper guardare avanti. E, pur facendo vela ad alto livello allora, mi resi conto che dovevo fare un cambio. Non mi sarei voluto trovare all’età che ho oggi sempre ad andare in barca e avevo quindi un disegno. Che appena avessi avuto un’opportunità seria, avrei iniziato a lavorare in maniera diciamo tradizionale. Sono laureato in economia, per cui come un manager. Mi ricordo che avevo messo solo una condizione a me stesso, ovvero che questo lavoro non fosse nel mondo della nautica… E poi ovviamente è arrivata questa opportunità da Nautor’s Swan, che ho valutato come l’eccezione che conferma la regola.
Ho accettato e il tutto è coinciso con la nascita di mia figlia Anna, che adesso appunto ha 23 anni. Quando ho visto lei, mi sono detto fermi tutti. Non posso più essere al centro del mio universo, cosa che fai quando sei un atleta in cui sei al centro del tuo universo. Qui al centro c’è qualcun altro e sono molto contento. Con il senno di poi è stata la scelta giusta.

FV Comunque lei rimane un grande velista. Lei ha vinto quest’anno l’Europeo e l’Italiano Star e ha provato per la prima volta il foiling. Come vede questi due mondi, la vela tradizionale e quella ipertecnologica? Sono destinati a convivere o la seconda finirà per escludere la prima?
EC Ho fatto la stessa domanda a Bruni, a Sferracavallo. “Senti, ma tu che sei uno dei velisti a cavallo di queste due generazioni, di barche naviganti e barche volanti, adesso che sei diventato uno specialista di barche volanti, cosa vuol dire? Che rinneghi le barche naviganti e che, una volta provare quelle volanti, non si torna più indietro?”.
Ho fatto questa domanda perché, lo devo dire, aver volato per la prima volta con lui e con Tita, è stato veramente divertente. Per cui la domanda era lecita.
Lui mi ha risposto, cosa che ti rispondo anch’io, che… No, non rinnego assolutamente le barche naviganti, così come non lo faccio io, perché sono due bellezze assolutamente diverse. Volare è adrenalina, nel senso di velocità, reattività, agilità. Un gioco estremamente dinamico.
La vela tradizionale è un gioco estremamente profondo. Fatto di dettagli, di particolari, di una sofisticazione che nel volare non potrai mai trovare.
Sono due giochi diversi. Entrambi bellissimi e un velista moderno dovrebbe saperli fare entrambi, perché ognuno dei due ti insegna cose che sono utili per l’altro. Secondo me tutti i velisti completi continueranno a farli entrambi.

FV Ottima risposta, sia quella di Francesco Bruni sia la sua… Per concludere, cosa vi aspettate dai prossimi mesi?
EC Stiamo lavorando attivamente alla nuova collezione, che lanceremo l’anno prossimo. Sarà una collezione che avrà un contenuto estremamente tecnico e tecnologico. Per cui molto indirizzata alla vela agonistica e alla vela da crociera, ma fatta comunque ad alto livello. A cascata, tutto il resto della collezione avrà un’identità molto legata a questo mondo velico d’alto livello. Nel frattempo stiamo lavorando molto nel riportare il marchio nella mente del nostro mercato di riferimento. La partecipazione agli eventi come Sferracavallo sono fondamentali per ricreare quella memoria. E devo dire che moltissimi amici velisti e non velisti mi hanno detto, ah, ora si rivede SLAM.
Abbiamo pianificato un discorso di preparazione perchè nella prossima primavera, quando presenteremo la collezione, a quel punto vi sarà una nuova azienda, un nuovo prodotto, una nuova immagine di un marchio che si merita di essere veramente bello.

FV Buon lavoro.

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