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Vendee Globe: a proposito di Jean… Imoca foil vincenti o inaffidabili? Analisi e l’opinione di Stefano Beltrando

Isole Crozet- “Queste non sono barche fatte per il Vendee Globe, non sono adatte a ciò che facciamo qui”. Se lo dice Jean Le Cam riferendosi agli Imoca foil, occorrerà farci caso. Il veterano francese non ha mai avuto remore nel dire la sua e lo fa mentre sta lottando, con un Imoca tradizionale, per il podio di questo Vendee Globe. Ale 18 CET di oggi 5 dicembre è sesto, a 394 miglia dal leader Charlie Dalin e riceverà tra qualche giorno un sostanzioso abbuono dalla Giuria Internazionale per il tempo impiegato nella deviazione di rotta per il salvataggio di Kevin Escoffier.

Jean Le Cam oggi, si è preso un pesce volante sulla guancia destra mentre era al timone per diverse ore, a causa di alcuni problemi al pilota automatico

Tema: Imoca 60 foiling, o per esteso foiling estremo nel Southern Ocean. Il dibattito sui media velici e sui social si è ormai scatenato. Chi trova gli Imoca foil troppo estremi e pericolosi. Chi difende invece una vela sempre più innovativa e sportiva. Chi, ancora, spera di nascosto in un ritorno alle barche lente e dislocanti, coltivando in segreto il sogno, intimo, di prendere il largo un giorno, “da solo e per conto suo”.

Il Vendee Globe piace. E lo fa per quel mix di competizione sportiva estrema, “La più dura sfida sportiva che si possa immaginare” come lo ritiene Alex Thomson, avventura umana e sfida interiore che tutti percepiamo. Con il Vendee ci s’immedesima. Ci si affeziona a uno o più velisti. Chi tifava Hugo Boss o Charal, chi uno dei francesi e tutti, comunque, forza Giancarlo Pedote, il primo italiano a competere nel gruppo di testa del giro del mondo in solitario, senza scalo e senza assistenza.
Ogni tre ore andiamo a controllare le posizioni, l’evoluzione meteo. Chi fa la regata virtuale si organizza con amici per fare i “turni” di notte. Video, foto, messaggi, dichiarazioni in una continua diretta dal Southern Ocean, dove l’acqua è a otto gradi, il vento soffia a 40 nodi e le masse d’acqua sono potenti come valanghe liquide, senza soluzione di continuità da Capo Horn a Capo Horn.

“Tutti i colpi che lo scafo prende sulle onde, li sento come fossero pugni nello stomaco”, ha detto oggi Pedote alla sua prima presenza nel Sud Oceano Indiano.

Ma cos’è davvero e soprattutto il Vendee Globe nel 2020? Tutto quanto detto sopra, certo, ma è soprattutto una regata. Una sfida sportiva. E come tale, implica necessariamente di correre per provare a vincere. Solo che, per farlo, occorre percorrere quella sottile linea rossa che separa l’affidabilità dalla velocità. Fare anche solo mezzo nodo in più, a parità di condizioni, fa 12 miglia al giorno, che moltiplicato sette fanno 84 a settimana, che ripetute per i circa 50 giorni che si trascorrono nel Southern Ocean girando attorno all’Antartide fanno circa 600 miglia. Poco meno di due giorni di navigazione per le medie degli Imoca attuali.
Si comprende, quindi, come la ricerca della velocità sia fondamentale, nell’ambito del regolamento di stazza Imoca. E in questa direzione agiscono i progettisti e i costruttori.

Stefano Beltrando di QI Composites, il più apprezzato strutturista della vela internazionale, ci dice mentre è in volo per Auckland per aggregarsi a Luna Rossa alla 36th America’s Cup:
“Almeno un terzo delle barche presenti le abbiamo controllate noi, dell’ultima generazione abbiamo visto solo Linkedout in modo completo fin dal primo giorno, delle altre nuove abbiamo visto molti foil. I designer conoscono i carichi ma credo che in realtà ci siano ancora grosse lacune in merito a carichi dinamici, ipotesi di carico anomali, fatica e propagazione dei difetti. La qualità costruttiva ha fatto dei passi davvero giganteschi”. (L’intervista completa alla fine dell’articolo)

E’ anche valida, però, la massima dei grandi marinai: barca che non arriva in porto non vince.
E da qui la delusione di Alex Thomson o Jeremie Beyou, che avevano le barche più recenti e sviluppate. Convinti di poter lottare fino alla fine per la vittoria. Nessuna avventura umana per loro, figurati se un tipo tosto come Thomson pensa a questo… Si tratta di una regata da vincere. Punto. O le lacrime di Samantha Davies, che ha deciso, dopo il ritiro di oggi, di finire comunque il suo giro del mondo fuori classifica.

Samantha Davies e Alex Thomson a colloquio sul pontile di Cape Town che ospita i loro Imoca dopo il ritiro

Dove ricercare il compromesso? E come fare per evitare che quella linea rossa si trasformi in un’affilata lama da cui si può solo uscire con rimpianti, se va bene, o guai seri, se va male?

La cronaca ci dice che l’ultimo Vendee Globe è stato vinto da Armel Le Cleac’h con un Imoca Foil (Banque Populaire VIII, l’attuale Bureau Vallee 2 del tostissimo Louis Burton che per guai al pilota automatico oggi ha riperso le miglia che aveva guadagnato ieri). Il suo tempo di 74 giorni, 3 ore, 35 minuti e 46 secondi rappresenta anche il record del giro del Vendee. Non solo, Le Cleac’h era ben cinque giorni avanti all’attuale leader, al 27esimo giorno di mare.
Secondo nel 2017 fu Alex Thomson con l’Hugo Boss di allora, anche lui foil, arrivato ad appena 16 ore da Le Cleac’h, dopo un’appassionante rimonta. Terzo arrivò Jeremie Beyou, su Maitre CoQ, anche questo foil, a quasi tre giorni.
Jean Le Cam, su un Imoca tradizionale, arrivò sesto, con sei giorni di distacco.

Quindi il podio fu tutto foil, anche se la generazione delle appendici era quella precedente. VPLP, Verdier, Juan Kouyoumdjian hanno sviluppato le appendici e profondamente adattato le nuove barche. Che navigano più alte di prua, soffrono colpi assordanti e potenzialmente a rischio quando ricadono da un’onda, hanno ormai un Vmg che dà il meglio solo e soltanto in un angolo ottimale. Come già visto con i più pur pesanti e affidabili Volvo 60 dell’ultima Volvo Ocean Race.
Lo testimonia proprio la rotta di oggi di Burton che, a causa del malfunzionamento del pilota, ha dovuto puggiare un po’ rispetto all’angolo di TWA (angolo vento reale) e AWA (angolo vento apparente) con immediata e conseguente perdita media di 3-4 nodi rispetto ai rivali vicini.

LinkedOut di Ruyant in pieno foiling. Si nota la maggior “larghezza” degli Imoca con i foil di seconda generazione

Anche in questa edizione, al momento, primo è Apivia, il foiler di Charlie Dalin (Verdier 2019 costruito da CDK). Secondo LinkedOut di Thomas Ruyant (Verdier 2019 costruito da Persico Marine a Nembro), terzo è Bureu Vallee 2 di Louis Burton (che è appunto la barca vincitrice del Vendee 2016/17, un Verdier/VPLP 2015 costruito da CDK), anche lei foiler.

La domanda, quindi, non riguarda la velocità, evidentemente migliore per i foiler, ma l’affidabilità.

Tra i cinque ritiri visti sin’ora abbiamo:
– Cedimento strutturale, con conseguente naufragio (PRB, VPLP/Verdier 2010 poi aggiornato con i foil, Kevin Escoffier)

– Disalberamento (Corum L’Epargne, foiler di Nicolas Troussel, un Juan K. del 2020 costruito da CDK)

– Rottura di un timone, probabile urto con UFO (Hugo Boss, foiler), dopo un cedimento strutturale riparato da Alex Thomson

– Urto con UFO e rottura foil, Arkea Paprec (foiler, JUan K: 2019) di Sebastien Simon

– Urto con UFO e rottura foil (Initiatives Coeur, foiler, un VPLP/Verdier del 2010) di Samantha Davies.

A questi si aggiunge l’ancora in regata Charal, foiler, di Jeremie Beyou, ripartito dopo nove giorni, anche lui per rottura di un timone.

L’analisi porta a dedurre che gli Imoca Foil vincono… a patto d’arrivare a casa.

Il foil danneggiato su Arkea Paprec

E proprio qui dobbiamo risalire su quella sempre più affilata lama liquida. Tutti, noi che seguiamo, i velisti che propongono una barca agli sponsor, i progettisti che ricevono dagli stessi una richiesta di essere “veloci e affidabili”, i cantieri che gestiscono la commessa. E dobbiamo capire quando tirare il freno, come saggiamente sta facendo Pedote in queste prime quattro settimane di regata per preservare il mezzo non rinunciando però alla regata.

I ritiri, spesso anche clamorosi se non drammatici, sono sempre stati parte del Vendee Globe o della Whitbread/Volvo Ocean Race, se parliamo della massima espressione oceanica in equipaggio. In team le barche si tirano anche di più, ragione per cui l’allora CEO Knut Frostad pensò a una formula di stazza più affidabile. Insomma, i precedenti Volvo 70 ormai si spaccavano quasi tutti. I Volvo 60 arrivavano in porto…ma la regata risultò anche meno avvincente.

Banque Populaire VIII di Armel Le Cleac’h, vincitore in 74 giorni del Vendee Globe 2016-17 con foil di prima generazione

Andiamo a verificare:
Vendee Globe 2020-21 (in corso)
Per adesso 33 partiti, 5 ritiri, a un terzo della rotta.

Vendee Globe 2016-17
29 partiti, 11 ritirati (4 collissioni, 3 disalberamenti, 4 avarie di vario tipo).

Vendee Globe 2012-13
20 partiti, 9 ritirati (3 collisioni, 1 scuffia, 1 squalifica, 3 avarie, 1 disalberamento)

Vendee Globe 2008-09
30 partiti, ben 18 ritirati (5 disalberamenti, 11 avarie, 1 arenato, 1 scuffiato)

Vendee Globe 2004-05
20 partiti, 7 ritirati (avarie varie)

Vendee Globe 2000-01
24 partiti, 9 ritirati (8 avarie varie, 1 arenato)

Vendee Globe 1996-97
16 partiti, 10 ritirati (il canadese Gerry Roufs disperso in mare, 4 scuffie, 1 disalberamento, 1 collisione, 2 avarie varie, 1 arenato)

Vendee Globe 1992-93
15 iscritti, 14 partiti, 1 disperso prima della partenza (Mike Plant, USA), 7 ritirati (il britannico Nigel Burgess disperso in mare, 4 avarie, 2 problemi di salute/preparazione)

Vendee Globe 1989-90
13 iscritti, 6 ritirati (1 scuffia, i disalberamento, 3 avarie, 1 motivi di salute)

Come si vede, l’edizione attuale è nella media dei ritiri. Le uniche tre vittime del Vendee Globe sono avvenute nei primi tre giri del mondo. La tecnologia satellitare e velica, l’elettronica e i protocolli Search and Rescue sono sempre più perfezionati. La velocità stessa, che consente agli Imoca di meglio posizionarsi rispetto alle depressioni in arrivo, fino a cavalcarle senza esserne mai investiti, è sinonimo di sicurezza.

Ciò che invece colpisce, nelle ultime edizioni, è l’aumento dei ritiri per collisioni con oggetti galleggianti non identificati (UFO o OFNI in francese).
Il mare fa sempre più schifo? Purtroppo sì ed è cronaca quasi quotidiana il numero di container persi in mare. Di oggi la notizia di 1900 container persi in Nord Pacifico da un mercantile. Vi sono poi grossi tronchi portati dai fiumi e dalle correnti, oggetti di vario tipo che galleggiano a pelo d’acqua, invisibili ai radar o sonar di prossimità e, comunque, alle velocità degli Imoca 60 che filano abitualmente 16-20 nodi, i tempi di reazione sarebbero troppo ridotti.
In più, i foil aumentano la “superficie d’ingaggio” delle barche, che hanno due foil, daggerboard per i non foiler, chiglia e due timoni. Di fatto le barche sono più larghe al baglio massimo, aumentando i rischi di urti.

PRB nel Southern Ocean poche ore prima del naufragio

Cosa fare? Lo abbiamo chiesto anche a Conrad Colman, neozelandese vincitore della Global Race e partecipante al Vendee Globe 2016-17 con la barca eco-compatibile Foresight Natural Energy. La sua risposta, nel corso di un webinar organizzato da One Sails sulla tecnologia 4T Forte, è stata sorprendente: “Tutte le appendici sono a rischio. Foil, daggerboard, chiglia. Gli Imoca sono veloci ma non credo che tornare indietro sia la decisione giusta. L’innovazione è fondamentale e sarà sempre più perfezionata. Le barche da regata oceanica avranno probabilmente foil anche nei timoni in un prossimo futuro. Usciranno dall’acqua diminuendo anche tali rischi. Nel frattempo si tratta di salvaguardare al massimo il mare, limitando gli scarichi industriali e navali”.

Ripensare la formula Imoca? Difficile in un evento che è prima di tutto una grande regata sportiva, sempre più lontana dal romanticismo e dall’epica delle prime edizioni. I miti di allora, alla Titouan Lamazou o Alain Gautier, i vincitori dei primi due Vendee, oggi probabilmente sarebbero anche loro sui foil. O chissà se, con il budget necessario, ci sarebbe anche lo stesso Le Cam. Velisti professionisti, il cui imperativo è andare più veloci, ma alla fine in porto devi pur arrivarci. Per vincere, però, devi osare ed è qui che la lama diventa tagliente come un rasoio.

Le possenti onde del Southern Ocean a poppa di Bureau Vallee 2 di Burton

Una cosa è navigare in foiling, letteralmente volando sopra onde anche formate, in Bretagna durante una sessione fotografica a Finistere o a Ouessant. O farlo anche in una regata transatlantica tipo il Rhum. Un’altra è affrontare in questa configurazione il Southern Ocean, dove le masse d’acqua sono enormi, potenti e compatte fino a schiacciarti. Laggiù dove, come scrisse Paul Cayard durante una Volvo Ocean Race, si fa contemporaneamente la “peggiore e migliore vela che si possa immaginare”.
Una sfida ai confini del mondo, come è il Vendee Globe e come ritiene Jean Le Cam nella sua affermazione.

Ed è proprio questo confine, sempre più labile e complicato da gestire, che occuperà i pensieri e le analisi di chi deve decidere il futuro di questa e delle altre grandi regate oceaniche.

 

L’opinione di Stefano Beltrando, QI Composites:

Stefano Beltrando, Foto Borlenghi

I designer conoscono i carichi, ma in realtà credo che ci siano ancora grosse lacune in merito a carichi dinamici, ipotesi di carico anomali, fatica e propagazione dei difetti.
La qualità costruttiva ha fatto dei passi davvero giganteschi. Il livello dell’ ex King fisher (che sta navigando) o della barca di Jean le Cam non può neanche essere confrontatato con quello delle barche di ultima e penultima generazione. I difetti costruttivi di oggi si misurano in millimetri quadrati, quelli di una volta a spanne o peggio; su una delle barche oggi in regata, che avevo visto all’arrivo di una Barcelona World Race, avevo trovato una delaminazione risalente alla costruzione tra la pelle esterna ed il core, alta 50mm e lunga 11 metri…

I foil più audaci, che vediamo sollevare le barche a velocità impensabili, sono qualitativamente impeccabili. Tutti sono passati attraverso serie di test ultrasonori sempre più stringenti e in alcuni casi si sono persino fatte delle tomografie a raggi X.

Molte delle rotture sono evidentemente causate da impatti con oggetti galleggianti, semisommersi o animali marini. Nelle varie competizioni ho visto un po’ di timoni e foil rotti per balene, foche e tartarughe.

Vista l’innegabile qualità costruttiva, i danni non direttamente riconducibili a impatti sono davvero difficili da definire, anche perché possono avvenire diversi giorni dopo il colpo. Magari ci si trova di fronte a una rottura inspiegabile in quel momento ma in realtà è solo l’ultimo stadio di una propagazione partita ore o giorni prima.

Parlando del caso di Thomson e della sua paratia longitudinale, lui ci fa vedere un filmato in cui dichiara che a seguito di un’ispezione visiva a prua trova tutta una serie di fratture del longitudinale. Tuttavia è davvero improbabile che si siano generate tutte nello stesso momento e soprattutto non ha potuto analizzare dettagliatamente lo stato dello scafo che magari è danneggiato anch’esso. Supponiamo che invece di avere condizioni favorevoli per un’ispezione visiva, avesse dovuto affrontare mare formato e vento forte, magari ad un certo punto avrebbe trovato una crepa in coperta o una via d’acqua nello scafo. A quel punto sarebbe stato difficile ricostruire la dinamica del danno, capire quale elemento avesse ceduto per primo e perché.

La difficoltà nella raccolta delle informazioni negli Imoca 60 è in parte dovuta alla presenza di un solo uomo a bordo, alla difficoltà di raggiungere tutte le zone dello scafo attraverso paratie stagne e casse dei ballast molto voluminose, il tutto con una pila frontale che proietta la luce solo dove gli skipper volgono lo sguardo mentre vengono sballottati dalle onde.

Sul tema dell’identificazione dei problemi strutturali la Volvo Ocean Race ci mostra chiaramente che i danni vengono intercettati prima semplicemente perché c’è più gente in barca. Per regolamento inoltre sono tenuti ad avere un timone di scorta vista l’alta probabilità di impatti.

Questa edizione del Vendee Globe è davvero imprevedibile e più aperta che mai: è partita con 5-6 barche più veloci delle altre e altri 10 skipper di ottimo livello capaci di tenere il fiato sul collo ai leader e pronti a sbranarseli alla prima occasione.
Le rotture hanno sempre fatto parte di queste evento, ne sono un coprotagonista, in alcune edizioni con epiloghi ancora peggiori di quello che abbiamo visto fin qui. La classe IMOCA ha fatto un grande passo nell’uniformare alberi e chiglie per ridurre i rischi di danni gravi ma per il resto, il margine di manovra sulle barche è talmente ampio che di roba da rompere ne resta parecchia”. (Stefano Beltrando)

Alle 18 CET del 5 dicembre Apivia di Dalin ha iniziato la discesa verso le Kerguelen, con 217 miglia di vantaggio su LinkedOut di Ruyant e 249 su Bureu Vallee 2 di Burton. Giancarlo Pedote è decimo a 551 miglia.

La situazione alle 18 CET di oggi 5 dicembre

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