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Giambattista e Valentina, a scogli all'Antartide ma è finita bene (6-continua)

Pubblichiamo la sesta puntata del diario di bordo di Giambattista Giannoccaro e Valentina Zotta sul catamarano Angelique 2 dalla Penisola Antartica.

19 Febbraio 2016, ore 01:30
Vernadsky Research Station, Galindez Island

Sono in dimette, ho deciso di passare qui la notte, a controllare
l’ancoraggio. Ho attivato radar e allarme ancora e potrei riposare, ma non riesco.
L’adrenalina che ancora mi scorre in corpo non me lo consente. Oggi ho vissuto le 20 ore più spaventose della mia vita. Ve le racconto.

Alle 03:30 gli amici della Base Vernadsky ci hanno portato a bordo Mireille,
che avremmo dovuto accompagnare sino a Port Lockroy.
Ijri e Matteo sono scesi a terra per liberare Angelique dalla ragnatela di
cime a cui lavevamo assicurata e alle 04:00 in punto abbiamo lasciato il
nostro ancoraggio. La luce iniziava a far capolino, ma avevamo acceso sia i due proiettori di prua che quello di poppa. Mare piatto e neanche una bava di vento.
Non so per quale dannato motivo mi è venuto in mente il suggerimento della
skipper Francese, ovvero di raggiungere il mare aperto passando a lato della
base ucraina, senza fare il giro che io avevo fatto al nostro arrivo.
Mi ricordavo chiaramente che mi aveva detto di passare vicino a una boa
rossa a nord ovest della base.

Angelique 2 incagliata
Angelique 2 incagliata. Foto Valentina Zotta

Non so perché, ma uno stano senso di disagio mi accompagnava, tanté che ho
chiesto a Mireille conferma del fatto che davvero fossero passati da li.
Mireille mi ha risposto che non ricordava con esattezza. A prua c’era Matteo, Dave e Adela a cui avevo affidato il compito di stare attenti a eventuali segni di basso fondale.
Il senso di disagio permaneva tanté che ho diminuito la velocità a 1,5 nodi.
Appena arriviamo al traverso della boa, Bang! Una sberla ferma la barca.
Provo a dare machine indietro tutta, ma nulla e l’unico risultato che
ottengo è quello di veder scivolare, a poppavia la mia chiglia di babordo.
A questo punto sono certo di aver urtato qualcosa di grosso.
Guardo tutt’intorno agli scafi e mi accorgo che siamo seduti sopra uno
scoglio non più profondo di 30, 40 centimetri. Riprovo a mettere indietro le macchine, ma nulla.

Mentre chiedo a Vale di controllare immediatamente le sentine per vedere se
abbiamo acqua, chiamo via radio la base Ucraina. Come in tutte le basi in Antartide, hanno una squadra di guardia h24. Nel giro di 5 minuti ci raggiungono a bordo.
Mi confronto con loro sulla marea. Purtroppo è in discesa ed inizierà a
risalire solo intorno a mezzogiorno (strane maree da queste parti).

Mettiamo il dinghy in acqua e sistemiamo due ancore a poppa nel tentativo di aggiungere alla forza propulsiva dei motori quella delle cime che dalle
due ancore abbiamo rinviato sui due whinch della randa. Ma anche questo tentativo risulta vano. Non restava altro che aspettare la marea. Gli amici di Vernadsky ci hanno invitato a raggiungere la base per fare colazione.
Cosl ho deciso di accettare l’offerta, ma io insieme a Ijri siamo rimasti in
barca per verificare meglio i danni. La chiglia che abbiamo perso (e recuperato) non ha una funzione strutturale. E’ una chiglia sacrificale a protezione di timone ed elica.
Inoltre alla base ha un piatto in metallo su cui lo scafo appoggia quando si
decide di spiaggiare gli scafi. L’asse dell’elica mi sembrava fosse dritto, anche perché quando ho messo il motore indietro tutta nel tentativo di liberarmi, non avevo avvertito alcuna vibrazione.

Da un controllo però delle sentine, mi sono accorto che nella cabina di
poppa (sempre a babordo) il penultimo madiere era scollato e, ad appena
qualche centimetro a poppavia dello stesso, lo scafo presentava un piccolo
rigonfiamento, segno evidente che qualcosa stava spingendo da sotto.
L’idea che la bassa marea avrebbe aumentato il carico su quel punto mi
faceva venire i brividi alla schiena. Cosl ho deciso che bisognava a tutti i costo alleggerire Angelique II.

Abbiamo iniziato a svuotare i serbatoi di gasolio, trasferendo il contenuto
in taniche, e il serbatoio dell’acqua. Poi abbiamo iniziato a sbarcare gli 80 metri di catena, bombole subacquee, tutti gli attrezzi e utensili e le biciclette, valutando in circa 12, 13 quintali in meno lo sforzo fatto. Nel frattempo una leggera brezza da nord iniziava a raggiungerci.

Sapevo che nel pomeriggio il vento si sarebbe fatto sentire ed era questa la
ragione per la quale avevo deciso di salpare così presto. Nell’ultimo viaggio fatto a terra per sbarcare i materiali sono andato a trovare il resto dellequipaggio.
Gli amici ucraini avevano preparato per tutti delle brande e dei sacchi a
pelo, nel tentativo di farci riposare e abbassare la tensione.

Nel frattempo il vento continuava a salire e soprattutto girare a est. Ho deciso di rientrare in barca chiedendo a Dave e a Matteo di accompagnarmi.
Nonostante fossimo all’interno del piccolo arcipelago, una fastidiosissima
onda era già all’opera, mentre il vento spingeva contro di noi minacciosi
blocchi di ghiaccio. Nelle successive 3 ore abbiamo dovuto lottare contro un smisurato numero di blocchi di ghiaccio, tutti intenzionati a colpire la nostra infortunata
Angelique II.

Abbiamo iniziato con il gommone, cercando di arpionare con un grande raffio
i blocchi di ghiaccio e spostarli dalla traiettoria collidente. Il vento era ormai costantemente sopra i 30 nodi e l’impresa risultava davvero difficile.

Nel frattempo a bordo il madiere continuava a scricchiolare, e ogni crack
era come una ulteriore pugnalata al mio costato. Mentre ero in sentina a controllare levoluzione dei crack, Matteo grida dal ponte, che un grande blocco si è infilato trai due scafi ed è rimasto incastrato sullo scoglio sotto di noi, col rischio di continuare a
rimbalzare tra gli scafi. Impossibile raggiungere con il dinghy quella posizione, cosl indosso la muta stagna ed entro in acqua. Lottando con la bestia bianca riesco a farla scivolare via. Rientro in barca infreddolito dove il premuroso Matteo, mi ha già preparato un caffé bollente.

Sentiamo un crac più forte degli altri. Temo il peggio. Corro in cabina e il rigonfiamento sullo scafo è sparito. La marea è tornata a salire, sollevando quel tanto che basta lo scafo di babordo per evitare che lo scoglio continuasse a infilzarlo.
Mi rendo conto che in qualsiasi momento il vento, ormai a 35 nodi, potrebbe
da solo disincagliare lo scafo.

Intorno a noi isolotti e scogli e due cime da 100 metri in acqua a poppa,
collegate alle due nostre uniche ancore. Un altro brivido mi corre per la schiena.
Provo a dare istruzioni chiare a Dave e Matteo: se la barca dovesse partire,
lasciamo scorrere le cime verso il lato esterno di ciascun scafo e, una
volta a pruavia, assicuratele a una bitta. Tutto chiaro?

Nel frattempo chiamo via radio la Stazione, chiedendo se possono inviare un
gommone in appoggio nell’eventualità che la barca si disincagliasse. Non faccio in tempo a mettere giù il microfono che al suono di unaltro crack, la barca viene spinta via dal vento. I motori sono accesi da almeno mezz’ora, pronti e caldi. Mentre cerco di tenere la barca al vento urlo ai miei compagni di iniziare a recuperare le cime.
Ma la cima sopravvento è in bando e si avvicina pericolosamente alla poppa
di dritta, metto il motore in folle. Uno scoglio si avvicina a sinistra e un iceberg è a meno di 50 metri dalla nostra poppa. Devo necessariamente dare marcia avanti al motore e così faccio.

La posizione della Stazione ucraina nella Penisola Antartica
La posizione della Stazione ucraina nella Penisola Antartica

Riesco a evitare lo scoglio ma dando forza al motore passo sopra la cima in
bando che inevitabilmente si abbraccia all’elica. Il cicalino del motore suona. Il motore è spento. Il vento adesso colpisce il fianco di sinistra. Provo a dare indietro tutta con il motore di babordo nel tentativo di rimettere prua al vento ma un altro implacabile cicalino, mi avvisa che anche l’altra cima ha raggiunto il suo motore, quello di babordo.
Bene sono senza motori, senza ancore in balia di vento e scogli. Rimbalziamo su un primo scoglio, su un secondo dove dopo un paio di sobbalzi ci fermiamo.

Giunge il gommone della base e due gommoni da un bellissimo tre alberi che
fa charter in Antartica: Europa. Provano insieme a tirarmi fuori ma niente da fare, siamo un’altra volta ben seduti su uno scoglio, e sempre con lo stesso scafo.
Devo necessariamente recuperare le mie ancore. Vado in acqua e con un po’ di fatica riesco a liberare le due cime da 18 mm in polipropilene, ancora integre, dalle eliche.
Le affido a due gommoni con il compito di seguirle sino alle nostre ancore.
Faccio un controllo sulle sentine tutto ok, ancora una volta non sembra
abbiamo seri danni.

So che la marea continua a salire e raggiungerà il suo massimo intorno alle
24:00, ancora 8 ore. Nel frattempo riportiamo a bordo la nostra catena a cui assicuriamo l’ancora principale recuperata dal gommone di Europa, mentre la seconda ancora arriva con gli amici di Vernadsky.
Il vento adesso arriva sulla nostro giardinetto di tribordo e mi spinge sempre più sullo scoglio che sta sotto lo scafo di sinistra. Non avendo più la chiglia sulla scafo sono molto preoccupato per il timone, ancora un metro e lo scoglio se lo porta via.
Devo bloccare la barca in questa posizione sino a quando la marea non sarà
sufficientemente alta da farmi scivolare via.

Chiedo ai gommoni intorni a me di aiutarmi a posizionare due cime su uno
scoglio a circa 50 metri al traverso del mio scafo di dritta, una assicurata
alla bitta di prua e una a quella di poppa, ed un’ancora a poppa.
Dai gommoni continuano a chiedermi di lasciarli tentare a spingermi fuori.
Con tanta cortesia provo a spiegare di temere questa manovra per la sorte
dei miei timoni. Devo aspettare l’alta marea.
I ragazzi di Europa mi dicono che rientrano alla nave, ma di chiamarli via
radio per qualsiasi esigenza.
Gli amici di Vernadsky tornano alla base per cambiare timoniere, è
congelato, ma tornano appena 15 minuti dopo.
Intorno alle 22 h quasi buio e il vento è sceso a 20 nodi con raffiche di
25. La barca è completamente piena di neve.
Nonostante continui a nevicare siamo in pozzetto mentre i nostri angeli
ucraini sono ancora nel gommone affiancati al nostro scafo di tribordo.
A un certo punto sentiamo chiaramente che la barca inizia a sollevarsi dal
fondo.
I motori sono ancora accesi e questa volta decido di anticipare la manovra.
Chiedo di mollare sia le cime laterali sia quella dell’ancora di poppa in
mare, verremo a recuperarle dopo.
Il vento mi spingerà in avanti dove ho acqua per almeno 300 metri e
utilizzerrò i motori solo quando sarò a distanza di sicurezza dalle cime.
Aspettiamo ancora 5 minuti e poi do’ il via.
Molliamo tutto, sentiamo ancor uno scricchiolio sotto di noi e poi più
niente.

200 metri più avanti metto il motore di dritta in retro e quello di
sinistra in avanti. La barca gira a dritta, ma una forte vibrazione arriva da quel motore.
Ritorniamo a bassissima velocità verso la zona del nostro precedente ancoraggio.
Non posso entrare a Stella Creek con questo vento, senza cime e con un motore
che vibra in questo modo, per cui diamo ancora in 20 metri dacqua, ma senza
successo. Ritento la manovra ben 5 volte sino a quando la mia santa ancora si impegna e trova un’appiglio a cui aggrapparsi.

Ijri nel frattempo raggiunge il gommone ucraino e va a cercare di recuperare
le tre grandi cime e la nostra ancora di rispetto. Rientrati con successo chiedo di porre un cavo a terra a supporto della nostra ancora. Le ragazze sono alla base dove i padroni di casa hanno preparato per loro letti, cena e tanto conforto.
Le raggiungiamo via radio e concordiamo che la cosa migliore per tutti è
adesso quella di riposare.

Ovviamente io resto in barca e con me l’intero equipaggio. Oggi credo di aver vissuto un’esperienza che neanche nei peggiori incubi avrei mai potuto immaginare.
Però, posso assicurare con certezza di non avere, neanche per un istante,
pensato che avrei potuto perdere la nostra barca. Domani penseremo a come riportarla a casa.

I controlli agli scafi dopo essere usciti dall'incaglio. Foto Valentina Zotta
I controlli agli scafi dopo essere usciti dall’incaglio. Foto Valentina Zotta

19 Febbraio 2016, ore 22:00
Vernadsky Research Station, Galindez Island

Ancora una giornata lunga, ma segnata da buon umore: Angelique II non ha alcun problema nel rientrare al caldo da sola. Vi racconto.
Nonostante le 23 ore di adrenalina pura vissute ieri, questa mattina alle 6, dopo appena 4 ore di sonno i miei occhi erano aperti e il cervello avanti tutta.
Mi sono reso conto che il vento aveva mollato e volevo tornare all’ancoraggio di Stella Creck, prima che si rialzasse.

Ho svegliato così i ragazzi e nel giro di mezz’ora eravamo sicuri e tranquilli nel nostro rifugio con 4 cime ben saldate a terra. Abbiamo fatto una frugale colazione e mi sono messo al lavoro per fare una valutazione completa dei danni e degli eventuali interventi da fare. Ho iniziato con un’ispezione in acqua dello scafo.

Della chiglia staccata lo sapevamo già dal giorno precedente, mentre di nuovo ho trovato una pala dell’elica di sinistra spezzata (la causa del gran vibrare del motore), e un gran bel botto sul musone della prua di sinsitra.
La prua dei nostri scafi ha un compartimento sacrificale, fatto apposta per assorbire urti in prua senza compromettere la galleggiabilità degli scafi.
Fortunatamente il colpo ha solo staccato qualche strato esterno della laminazione e non sulla parte anteriore, ma bensì 7, 8 centimetri a poppavia dalla prua e circa qualche centimetro a cavallo della linea di galleggiamento. Impensabile poter immaginare una riparazione senza tirar fuori la barca dall’acque e comunque, ripeto, non facciamo acqua neanche in quella zona. Si tratta solo di pochi millimetri di pelle superficiale.
Un’ispezione del fondo di entrambi gli scafi, incredibilmente, ha evidenziato solo alcuni graffi superficiali.

Il timone di sinistra, sul quale ha poggiato la barca dopo il secondo urto quando avevamo già perso la chiglia, appare solo scheggiato alla sua estremità senza alcun impatto sulla sua funzionalità.
L’ispezione invece all’interno dell’imbarcazione, registrava un madiere scollato nella cabina di poppa di babordo e il motore di dritta spostato di qualche centimetro.
Probabilmente una delle sberle prese rimbalzando sugli scogli deve aver fatto sobbalzare il motore che ha strappato i silent block su cui è poggiato.

Amici, da quando navigo su Angelique II continuo a dire che non vorrei navigare su nessun’altra imbarcazione, ma dopo questa esperienza sono davvero convinto che Outremer costruisce imbarcazioni eccezionali. Non solo veloci, stabili, comode, semplici da gestire e riparare, ma soprattutto indistruttibili. Questo cantiere merita tutta la mia e la vostra stima.

Alla luce dei problemi identificati, abbiamo stilato un piano di lavoro. Io mi sarei occupato di sostituire l’elica di sinistra con quella di rispetto acquistata a Puerto Chacabuco in agosto quando, sempre la stessa elica, ebbe un problema a uno dei pignoni interni e dovetti spedirla in Italia per revisionarla.
Ijri, avrebbe provato a rimettere il motore di sinistra al suo posto.
Questi mi sembravano essere i due interventi più urgenti, così da restituire totale manovrabilità ed efficienza all’imbarcazione.

La base ucraina
La base ucraina Vernadsky

Con Ijri siamo andati alla base ucraina dove ci aspettavano Andrei e Dimitri.
Andrei è biologo marino e professore universitario. Dimitri è un super tecnico informatico. Entrambi subacquei portano avanti progetti sulla flora e sulla fauna in Antartide. Andrei è alla sua decima spedizione antartica.
Loro sono gli angeli che per tutto ieri a bordo di un gommone ci hanno sostenuto ed assistito.

Esposto loro i programmi di intervento, Dimitri si è allontanato per tornare due minuti dopo con un paranco a catena e la sua attrezzatura subacquea.
Siamo tornati in barca e Ijri si è tuffato con il paranco in sala macchine, mentre io e Dimitri ci siamo tuffati in acqua per sostituire l’elica.
Nel frattempo Matteo e Dave hanno fatto spola con la base per riportare a bordo tutto quello che avevamo scaricato il giorno prima e, nell’ultimo viaggio, hanno riportato anche Vale e Adela reduci da una lunga dormita e da una colazione a cinque stelle.
Nel frattempo dal VHF continuavano ad arrivarci chiamate dalla base per invitarci a pranzo, a dormire, offerte di aiuto di ogni genere. Anche i ragazzi del grande veliero a palo Europa sono venuti a trovarci per sapere in che condizioni era la barca.
Ci hanno detto che sarebbero rimasti nell’area ancora per qualche giorno e di non esitare a contattarli se avessimo avuto bisogno di qualsiasi cosa.

Schermata 02-2457441 alle 21.35.51Così tra interventi di riparazione e PR, si è fatto pomeriggio e con esso è arrivata anche per me la stanchezza. La Vale mi ha spedito in branda alle 17 e ho dormito duro sino a mezz’ora fa quando i morsi della fame si sono fatti sentire.
Le previsioni meteo per domani danno ancora venti forti da nord ovest, mentre giorno 21 e 22 dovrebbero essere due giornate tranquille, per cui ci fermeremo dai nostri amici ucraini ancora un giorno. (6-continua)

Giambattista Giannoccaro

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2 Comments

  1. degrel0
    February 24, 2016 @ 15:02

    babordo…tribordo…?

    Reply

    • Michele Tognozzi
      February 24, 2016 @ 19:11

      Ha ragione, abbiamo corretto con le diciture corrette in italiano, ovvero rispettivamente sinistra e dritta, ce ne sono sfuggite evidentemente un paio. Un saluto

      Reply

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